Roma –I dipendenti del call center Herla di Pomezia non percepiscono lo stipendio da un anno e nella giornata di ieri, esasperati, hanno occupato i locali della società in segno di protesta. Sull’ennesima notizia riguardante la crisi occupazionale nel Lazio, ha preso parola Brunetto Fantauzzi, responsabile per la provincia di Roma dell’Italia dei Diritti: “Ancora “funamboli” del precariato senza stipendio. Ancora una volta i lavoratori, già precari, sono vittime di mala gestione e di un mercato senza regole che tende allo sfruttamento delle classi deboli”.
Sulla delicata situazione è intervenuto il segretario generale della Cgil-Cdlt Pomezia-Castelli-Colleferro-Subiaco, il quale ha riferito della drammatica condizione dei lavoratori e ha promesso battaglia al consiglio regionale, affinché convochi gli organismi istituzionali per ascoltare e prendere in considerazione la difficile circostanza in cui versano i lavoratori della Herla. “Una situazione assurda – continua l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro – che va a colpire chi ha bisogno del lavoro e del sostentamento vitale. Lavoratori che, disperati, hanno dovuto mettere in atto forme di protesta plateali mettendo in atto un occupazione”.
La viceresponsabile per il Lavoro e l’Occupazione dell’Italia dei Diritti:“La raccomandazione nella nostra società viene percepita come normale ed è sintomo di una subcultura che penalizza fortemente il sistema democratico”
Roma – A fronte di una recente indagine stilata dall’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, la maggior parte di ingressi nel modo del lavoro è dovuto a segnalazioni dispensate da amici o parenti. Una percentuale considerevole: circa il 55% . Sulla questione delle “spintarelle” che fanno tanto indignare ha espresso un opinione Antonella Sassone, viceresponsabile per il Lavoro e l’Occupazione dell’Italia dei diritti: “Il sistema clientelare è una realtà triste ormai ed è spesso figlia di un sistema del lavoro sbagliato, il quale non si basa più sulla meritocrazia ma su scambi di favori di ogni genere. Mi riferisco alle classiche raccomandazioni elargite da politici, dato che il mondo dell’occupazione oggi rappresenta un forte bacino di consensi facili dove si baratta un posto di lavoro per un voto”.
Dall’osservazione compiuta dall’Istat emerge inoltre che soltanto il 5% dei giovani alle prese con la prima occupazione trova un posto presso le agenzie per il lavoro e i centri per l’impiego.“Infatti questo scambio di favori elettorali provoca un effetto domino: il mercato del lavoro diventa esclusivo della classe politica nella maggior parte dei casi , per cui i centri dell’impiego non hanno più ragion d’essere e vengono utilizzati per basse qualifiche. La raccomandazione nella nostra società – conclude l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – viene percepita come normale ed è sintomo di una subcultura che penalizza fortemente il sistema democratico. Bisogna porre più attenzione di fronte al meccanismo perverso e subdolo della logica del posto facile”.
La viceresponsabile regionale dell’Italia dei Diritti: “Sarebbe auspicabile che il criterio di selezione delle strutture ospedaliere da preservare si ispiri anche a principi di merito legati al minimo numero di episodi simili”
Bar – È stato aperto dalla Procura di Bari il fascicolo d’inchiesta sulla morte di Antonella Mansueto, una ragazza di Noci di 22 anni deceduta oltre nove mesi fa per l’ennesimo caso di malasanità. La giovane, operata per l’asportazione di una banale cisti al coccige presso l’ospedale di Putignano, viene dimessa il giorno dopo. Passano oltre due mesi ma la ferita non si rimargina e le condizioni generali della ragazza peggiorano drasticamente. La guardia medica di Noci le diagnostica un virus influenzale prescrivendole Tachipirina e Novalgina, ma la febbre continua a salire e si opta per il ricovero presso la struttura ospedaliera Miulli di Acquaviva. Qui resta sedata per 46 giorni, le vengono amputate le gambe e tutte le dita delle mani ad eccezione dei pollici per una grave setticemia che ne causa il decesso il 26 marzo. Le indagini sono partite e i carabinieri stanno ora acquisendo tutte le cartelle cliniche del calvario vissuto da Antonella. “L'ennesimo caso di malasanità riaccende l'attenzione sulle carenze ospedaliere pugliesi – ha commentato Patrizia Lusi, viceresponsabile per la Puglia dell’Italia dei Diritti –. Senza trascurare il merito del lavoro svolto da tanti sanitari ed ausiliari è innegabile che il tema dell'errore medico e della colpa professionale in campo sanitario acquisisce valenze particolari trattandosi di vite umane. In particolare, dietro ogni storia di questo genere, si cela il dolore di una famiglia privata di una figlia, una madre o un padre la cui esistenza è spezzata per sempre. Il piano di rientro della sanità pugliese predisposto dalla seconda giunta Vendola – chiarisce la Lusi – prevede la chiusura di quei nosocomi la cui presenza in alcuni territori risulterebbe inutile per questioni di densità di popolazione e di effettiva utilità. Sarebbe auspicabile che il criterio di selezione delle strutture da preservare si ispiri anche a principi di merito legati al numero minimo di episodi simili – conclude la rappresentante del movimento presieduto da Antonello De Pierro –, così da evitare che in futuro si possano verificare di nuovo”.
La viceresponsabile per le Mafie e la Criminalità dell’Italia dei Diritti: “Gratitudine a forze dell’ordine e Magistratura, non sia l’esecutivo a rivendicare meriti
Nella giornata di ieri la procura di Brindisi ha emesso 11 ordinanze di cattura nei confronti di altrettanti personaggi di spicco della Sacra Corona Unita implicati nel traffico di droga tra Albania e l’Italia.
“Il nostro movimento è lieto di esprimere sentimenti di gratitudine e solidarietà nei confronti delle forze dell’ordine e della magistratura, in quanto i successi nel campo della lotta alla mafia sono totalmente ascrivibili a loro conto – è questa la dichiarazione di Federica Menciotti, viceresponsabile per le Mafie e la Criminalità organizzata dell’Italia dei Diritti.
“Quello mafioso è un meccanismo che tende ad autorinnovarsi, per cui servono iniziative e provvedimenti a monte che incidano sul terreno delle pratiche sociali che fanno da nutrimento e habitat alla criminalità. - continua l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – Questo governo invece, aldilà degli annunci spot del ministro Maroni, ha emanato molteplici norme volte all’irresponsabile salvaguardia di interessi illeciti come quelle che vietano le intercettazioni e lo scudo fiscale. Non sia dunque questo esecutivo a rivendicare i meriti di chi quotidianamente combatte la malavita organizzata sul campo”.
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Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Comprensibile e condivisibile che la comunità scientifica abbia deciso di premiare chi ha portato alla luce bambini di cui altrimenti molte coppie non avrebbero potuto gioire”
Roma – È stato assegnato all’inglese Robert Edwards il premio Nobel per la medicina. L’Accademia di Svezia ha insignito del prestigioso riconoscimento il padre della fecondazione in vitro per essere stato il pioniere di una tecnica che ha avuto fortissime ripercussioni sulla società. La notizia ha suscitato la forte reazione del Vaticano, il quale, tramite monsignor Ignacio Carrasco de Paula, presidente della pontificia Accademia per la Vita, ha giudicato fuori luogo premiare un individuo “senza il quale non ci sarebbero il mercato degli ovociti e un gran numero di congelatori pieni di embrioni che probabilmente finiranno per essere abbandonati o morire”. Sull’argomento è intervenuto anche Roberto Soldà, vicepresidente dell’Italia dei Diritti, che ha dichiarato: “Sicuramente l’operato di questo scienziato divide, perché centrato su di un argomento di cui esistono tante visioni ideologiche, etiche e morali che rendono difficile capire il confine tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Una cosa però è sicura: grazie al suo lavoro tante donne hanno avuto dei figli e realizzato una famiglia nel vero senso della parola. Ancora oggi questo è un argomento che dà adito a tante sfaccettature interpretative – conclude il rappresentante del movimento presieduto da Antonello De Pierro –, ma è comprensibile e condivisibile che la comunità scientifica abbia deciso di premiare chi ha portato alla luce bambini di cui altrimenti molte coppie non avrebbero potuto gioire”.
La viceresponsabile per la Campania dell’Italia dei Diritti: “Nonostante la crescita della disoccupazione si decide di aggravare le spese a carico dei più deboli”
Napoli – “Come se non bastasse l’aumento dell’Irap e dell’Irpef, un nuovo provvedimento si riversa sulle spalle dei cittadini della nostra regione, sotto forma di un ingiusto adeguamento del costo del ticket – questo è il commento amareggiato di Licia Palmentieri, viceresponsabile per la Campania dell’Italia dei Diritti – Nonostante i richiami all’allarme per il calo del potere d’acquisto degli stipendi e per la crescita della disoccupazione, si decide di aggravare ulteriormente le spese a carico dei più deboli.”
Il decreto, emesso dal presidente della Regione Stefano Caldoro, commissario della sanità, prevede un aumento di 2 euro a ricetta prodotta in regime di codice bianco, che va a sommarsi all’ulteriore ritocco effettuato nel 2004. Il rincaro complessivo, in alcune famiglie gravate dalla presenza di uno o più malati cronici, può raggiungere i 500 euro annuali.
“Non viene minimamente prevista la presenza di una diversa rete che si faccia carico di rispondere ai quesiti sanitari dei cittadini, dirottando i codici bianchi in maniera da non rallentare il lavoro agli operatori che si occupano dei casi più gravi. Si preferisce usare il deterrente per lodare un presunto recupero dell’evasione che può rivelarsi, al contrario, un nuovo invito all’evasione stessa – suggerisce l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro - ancora una volta ad una politica di effettiva ristrutturazione del sistema sanitario, nella prospettiva di migliorarne la funzionalità e di recuperarne i costi inutili, ci si arrende e si cerca la via più facile, ovvero 'mettere nuovamente le mani in tasca' ai cittadini, proprio ciò che da sempre il PdL ha proclamato di voler evitare e che non si sforza realmente di fare”.
Il presidente del movimento extraparlamentare: “È importante che, terminata la protesta di piazza, chiunque abbia una visione corretta dei fatti parli con più persone possibili, raccontando la verità che ci illumina e senza la quale non esiste democrazia”
Roma – “La nostra partecipazione alla manifestazione era un dovere civico e politico dal quale non potevamo assolutamente sottrarci, in virtù di quelli che sono i principi fondanti del nostro movimento: difendere i diritti individuali e collettivi che, purtroppo, sempre più spesso, vengono violati nel nostro tessuto sociale”. È questo uno dei passaggi centrali del messaggio che Antonello De Pierro, presidente dell’Italia dei Diritti, ha lanciato dal cuore della piazza del secondo “No B Day”, la manifestazione di protesta contro il premier Silvio Berlusconi organizzata dal Popolo Viola, svoltasi oggi a Roma. Più di 500 mila persone hanno sfilato in corteo da piazza della Repubblica fino a piazza San Giovanni, teatro dell’evento che ha visto la partecipazione di alcuni importanti leader dei partiti di opposizione quali Antonio Di Pietro (IdV), Nichi Vendola (Sel), Angelo Bonelli (Verdi), delle associazioni come Articolo 21, l’Anpi di Roma, Agende rosse di Salvatore Borsellino, e soprattutto dei movimenti della società civile. Tra questi anche Italia dei Diritti, che ha partecipato con un nutritissimo gruppo di suoi rappresentanti, ha chiamato a raccolta circa 1000 persone tra sostenitori e simpatizzanti dell’organizzazione, e ha esposto le proprie bandiere per unirsi al fermo coro di ‘no’ contro il governo Berlusconi e le sue politiche.
A tal proposito De Pierro, spiegando i motivi del malcontento popolare, ha aggiunto perentorio: “Tenuto conto di quello che l’attuale Governo, con il premier Berlusconi in testa, ha creato in questi oltre due anni di legislatura, non si può sottacere il grave nocumento che ha causato all’intera Nazione, pensando solo ed esclusivamente a legiferare per garantire l’impunità del presidente del Consiglio nei vari processi che lo vedono incriminato, oppure in favore di evasori fiscali o di colletti bianchi. Ma mai per la gente, mai per quei cittadini le cui coscienze hanno tentato di anestetizzare in ogni modo, sfruttando la potenza mediatica di tv e quotidiani, nonché la compiacenza di diversi giornalisti alias pennivendoli del potere costituito, che hanno assolto brillantemente il compito di dare massima diffusione alla propaganda del Sultano di Arcore, mistificando le notizie, occultando la realtà storica dei fatti e confezionando perpetuamente verità di comodo”.
Molteplici gli slogan e gli inviti a dimettersi dalla carica di primo ministro lanciati dai numerosi partecipanti intervenuti alla coloratissima mobilitazione anti-Berlusconi: un corteo pacifico, democratico, gioioso, che ha visto anche la presenza di molti bambini e, in generale, dei rappresentanti delle diverse realtà – precari, scuola, lavoro, antimafia – che hanno fatto sentire forte le loro voci polemiche e il loro dissenso contro l’attuale Esecutivo, volto a risolvere più i problemi del premier che quelli del Paese. Sotto il grande striscione “Svegliati Italia” si sono alternati i cori “Licenziamolo”, “Berlusconi dimissioni”, “Fuori la mafia dallo Stato”.
Parlando del significato profondo del “No B Day”, che ha bissato il successo dello scorso anno, Antonello De Pierro propone: “Manifestazioni del genere dovrebbero essere organizzate tutti i giorni, anche se il Cavaliere non sarà molto turbato dall’ingente partecipazione di massa a cui noi dell’Italia dei Diritti siamo orgogliosi di aver apportato il nostro considerevole contributo”. Quanto alle priorità di questo evento, il leader del movimento nazionale per la legalità e la trasparenza fa notare: “È importante che, terminata la protesta di piazza in cui è eruttata la rabbia della gente che ogni giorno vede calpestati i propri diritti e la propria dignità, chiunque abbia una visione corretta dei fatti e non si lasci dominare dall’informazione artefatta parli con più persone possibili, cercando non di convincere ma semplicemente di raccontare la verità che ci illumina e senza la quale non esiste democrazia”.
Il viceresponsabile per la provincia di Bergamo dell’Italia dei Diritti : “Ennesimo esempio dell’arroganza politica della Lega”
Bergamo - “Siamo nel pieno dell’ignoranza assoluta, non ho altri termini per definire la situazione, perché non trovo sia una cosa normale che chi abita a Spirano debba comunque sapere il bergamasco ”.
Netto il commento di Simone Graziosi, viceresponsabile per la provincia di Bergamo dell’Italia dei Diritti, circa il piccolo centro tra le lande in cui verde è il colore che domina le scuole, i mezzi dei servizi sociali e dove il 70 % della popolazione si esprime in dialetto orobico.
Dalla carta intestata della giunta, fino al giornalino comunale tutto è scritto nella lingua locale, dominante anche nella toponomastica, che oltre al nome attuale delle vie, segnala quello gergale delle contrade ottocentesche. Tutto questo, stando alle giustificazioni del vicesindaco con lo scopo di promuovere un’identità da preservare.
“Un conto – continua Graziosi – è recuperare la tradizione un conto è esporre addirittura cartelli e centralini in bergamasco. Mi sembra assurdo, posso capire il recupero delle tradizioni ma che venga fatto in altra maniera”.
Nonostante il tentativo di smorzare le polemiche dei primo cittadino, tanto è il clamore e l’incredula preoccupazione che suscitano i guizzi dell’amministrazione di un comune che si sta sempre più “padanizzando”, arrivando ad usare il bergamasco per la segreteria telefonica del proprio centralino istituzionale.
“Il comune è un’istituzione pubblica – commenta l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro - alla quale tutti devono poter accedere e in Italia la lingua ufficiale, anche a livello costituzionale, è la lingua italiana, non il bergamasco. È l’italiano ad essere ufficiale, salvo per le minoranze linguistiche, ma non è questo il caso. Siamo di fronte all’ennesimo esempio dell’arroganza della lega bergamasca”.
Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Bisogna porre rimedio all’emergenza del caro- scuola e sollecitare le istituzioni affinché evitino queste pesanti stangate per le famiglie, già gravemente impoverite dalla crisi che investe il nostro Paese”
Roma – Testi scolastici troppo cari. Ieri mattina al liceo scientifico Righi di via Campania, numerosi studenti si sono radunati per protestare contro il caro-libri che in alcune scuole capitoline costringe le famiglie a versare centinaia di euro per il materiale didattico. Infatti per legge, il tetto di spesa per i libri imposto classe per classe dal Ministero dell’Istruzione non dovrebbe superare i trecento euro. In merito alla vicenda ha espresso un parere Roberto Soldà, vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Ogni anno si presenta sempre la stessa situazione che ormai non fa più notizia. La politica ministeriale non fa nulla per abbattere i costo dei libri e i limiti del tetto di spesa vanno rispettati visto che c’è una legge ad hoc che delimita le spese scolastiche”.
Per far fronte a questo meccanismo che impoverisce le tasche delle famiglie italiane, il Movimento studentesco nazionale reclama in primis un organo di vigilanza permanente che non permetta il superamento dei tetti di spesa, un documento affisso sulle bacheche di ciascuna classe che indichi i margini di costo dei libri e quanto realmente viene speso per essi. Inoltre, il Movimento chiede l’abolizione della cosiddetta pratica dei “testi consigliati”, che pur non essendo obbligatori costringono molti studenti a comprarli. “L’acquisto dei testi consigliati dovrebbe essere facoltativo e non obbligatorio. Bisogna porre rimedio all’emergenza del caro- scuola – chiosa l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro – e sollecitare le istituzioni affinché evitino queste pesanti stangate per le famiglie, già gravemente impoverite dalla crisi che investe il nostro Paese”.
Il viceresponsabile per la provincia di Bergamo dell’Italia dei Diritti : “Necessario capire cosa sia successo veramente e se siano stati rispettati i protocolli "
Bergamo - Un nuovo, presunto, caso di lite tra medici, risalente al gennaio scorso, è stato denunciato dal padre di una bimba nata cieca ed invalida agli Ospedali Riuniti di Bergamo dopo un parto drammatico.
“Sicuramente – interviene Simone Graziosi, viceresponsabile per la provincia di Bergamo dell’Italia dei Diritti – vanno fatte tutte le verifiche del caso, capire cosa sia successo veramente e come possa essere accaduto, conoscere le dinamiche interne alla sala operatoria e se i protocolli siano stati rispettati. Va valutato se sono stati commessi errori di comunicazione, spesso quando ciò accade si rischia di originare un errore, che si protrae e degenera in conseguenze drammatiche”.
Un travaglio lungo due giorni, quello vissuto da Albana Zekaj.
La donna, secondo la ricostruzione del marito Saimir, non solo non sarebbe stata seguita adeguatamente ma avrebbe pagato, con patimenti fisici suoi e del feto che portava in grembo la discussione fra 2 dottoresse, l’una favorevole l’altra contraria all’intervento di taglio cesareo. Operazione poi rivelatasi necessaria ed effettuata dal personale del turno successivo quando ormai era troppo tardi per la salute della neonata, attualmente invalida al 95% e per quella della madre, appena trentunenne, che ha l’utero lacerato e non potrà più avere figli.
“Non essendo ancora in presenza di verifiche – prosegue Graziosi – ritengo esprimere l’urgenza di accertarsi della verità e del reale andamento dei fatti, non affrettando il semplice pensiero che se qualcosa va male si tratti necessariamente di malasanità. E’ però fondamentale, – conclude l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – in casi come questi, comprendere se siano stati commessi errori che hanno potuto esser causa della dolorosa vicenda”.