Il responsabile per la Tutela degli Animali dell’Italia dei Diritti: “L’idea non solo vìola tutte le normative vigenti circa il benessere degli animali come esseri senzienti, ma risulta essere poco etica e assolutamente fuoriluogo”
Roma – “Vola un’aquila nel cielo”, recita l’inno della Lazio, che proprio nel rapace ha il simbolo societario. Da domani sera, però, l’espressione diventerà meno metaforica: il presidente Claudio Lotito ha infatti pensato di “adottare” un’aquila vera da far volare all’interno dell’Olimpico in occasione delle gare casalinghe dei biancocelesti. L’idea, presa in prestito dal Benfica, è quella di riportare i tifosi allo stadio attraverso un’attività di marketing non convenzionale. L’aquila, che – ironia della sorte – si chiamerà Libertà, da due giorni vive a Formello, dove passa la giornata ascoltando l’inno della Lazio e allenandosi per tre ore al giorno con il suo addestratore. La società sta provvedendo a costruire una voliera per ospitare stabilmente il rapace, che debutterà domani sera nel match contro il Milan. Il volo di un animale sullo stadio Olimpico, però, è vietato dal regolamento del Comune, che potrebbe muovere il reato di bracconaggio contro il presidente Lotito. A questo proposito si è già mossa la Lav, che ha chiesto l’intervento di polizia e corpo forestale per verificare se l’animale sia entrato in Italia con le necessarie certificazioni e detenuto secondo le norme vigenti.
“Che il presidente Lotito, nello scenario calcistico, avesse delle velleità folkloristiche ed eccentriche era risaputo – ha commentato Marco Di Cosmo, responsabile per la Tutela degli Animali dell’Italia dei Diritti –, ma che si spingesse addirittura a sfruttare un animale delicato ed importante per l’ecosistema come l’aquila è incredibile. Non si tratta di una forma di marketing, bensì di un gesto disperato per riportare i tifosi della Lazio allo stadio. L’idea non solo vìola tutte le normative vigenti circa il benessere degli animali come esseri senzienti, ma risulta essere poco etica e assolutamente fuoriluogo. Una politica societaria che guardi più al vivaio della propria squadra e alla creazione di nuovi servizi per i tifosi sul modello inglese – incalza Di Cosmo – sicuramente risulterebbe molto più utile per la causa della Lazio. Ci auguriamo che dai futuri sviluppi della vicenda si evinca che il luogo più adatto per un rapace siano le montagne, non di certo una voliera a Formello. Auguriamo un buon campionato alla Lazio – conclude il rappresentante del movimento presieduto da Antonello De Pierro –, auspicando che non si macchi della colpa di detenere un animale già di per sé minacciato dalla caccia illegale e dall'inquinamento, e che dimostri piuttosto il valore dei propri giocatori sul campo, riportando così i tifosi allo stadio unicamente per meriti sportivi”.
Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Basterebbe circoscrivere tale servizio alle zone pianeggianti di parchi e ville romane, anziché tra le salite asfaltate della Capitale”
Roma – Diverse associazioni ambientaliste, tra cui Oipa e Lav, hanno presentato oltre 5000 firme al Campidoglio per abolire le botticelle, le carrozze trainate da cavalli tipiche della Capitale. La recente aggressione subita da una donna in via del Corso ad opera di un vetturino al quale aveva chiesto soltanto informazioni sullo stato di salute dell’animale è stata la goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo per le continue violazioni del regolamento comunale sulla tutela degli animali da parte dei vetturini stessi. Roberto Soldà, vicepresidente dell’Italia dei Diritti, si è espresso così in merito: “E’ vero che le botticelle sono una tradizione romana ma è altrettanto chiaro che il regolamento varato di recente circa le ore di lavoro dei cavalli e il loro riposo nelle fasce più calde deve essere rispettato. L’animale non può essere considerato una macchina che produce soldi, né in nome di una tradizione possono morire delle bestie sotto gli occhi di tutti. E’ un fenomeno di fatto anacronistico quello delle botticelle – incalza Soldà –, ma non sono favorevole alla loro completa abolizione. Basterebbe circoscrivere tale servizio alle zone pianeggianti di parchi e ville romane, anziché tra le salite asfaltate della Capitale. In questo modo – conclude il rappresentante del movimento presieduto da Antonello De Pierro – si unirebbero tradizione e rispetto per l’animale, anche se riguardo ai vetturini c’è anche un problema di natura fiscale che va sicuramente risolto”.
Il responsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti: “Anche i tassisti devono seguire la logica del mercato”
Roma – Da quanto recita una norma comunale il trasporto di persone tramite il servizio pubblico denominato Taxi deve costare 40 euro se provenienti da Fiumicino e diretti in centro città, e 30 euro dall’aeroporto di Ciampino. Nonostante ciò continuano a rimbalzare sui mezzi di stampa le lamentele degli utenti che si sono trovati di fronte a tariffe ben più alte, anche del 70%.
A tal proposito esprime il suo parere Vittorio Marinelli, responsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti: “Rimane il mistero sul perché siano così attaccati alla professione i componenti della seconda casta più potente d’Italia, quella dei tassisti che segue a ruota quella dei notai. I primi guadagnano perlomeno 327.000 euro all’anno, mentre i secondi dovrebbero portare a casa poco più di 1.100 euro. Basterebbe quindi, per questa seconda categoria, una decina di truffe al mese per raggiungere l’agognata pagnotta – chiarisce l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro –, non si capisce perché, mentre tutti sono tenuti a sottostare alla logica dei prezzi di mercato, i tassisti ne siano esonerati”.
La nota di Marinelli si conclude con un dotto parallelismo: “Diocleziano, grande imperatore romano, il cavolo lo capiva in quanto si ritirò a Spalato a coltivare il prezioso ortaggio. Gli amministratori del Comune di Roma, invece, non capiscono un cavolo, appunto, perché mentre Diocleziano tentava di inchiodare il prezzo ai minimi termini questi lo fissano verso l’alto”.
Il presidente dell’Italia dei Diritti: “Presenterò denuncia per omissione di atti d’ufficio”
Roma – Continuano gli episodi quantomeno sospetti nei rapporti tra Antonello De Pierro, presidente dell’Italia dei Diritti, e la polizia municipale di Roma. L’ultimo atto ha visto due vigilesse, probabilmente del I Gruppo, multare il leader del movimento extraparlamentare a piazza Navona. De Pierro, che a causa di un principio di disidratazione aveva fermato la macchina per acquistare una bottiglia d’acqua in un bar, al suo ritorno ha trovato due agenti del corpo di polizia municipale nell’atto di compilazione di una multa per divieto di sosta. Le vigilesse hanno poi lasciato la zona, noncuranti delle decine di auto potenzialmente sanzionabili per lo stesso motivo parcheggiate davanti a quella di De Pierro. “Non contesto la multa, che è sacrosanta e pagherò senza fare ricorso – ha commentato il presidente dell’Italia dei Diritti –, bensì lo strano comportamento delle vigilesse, apparse dal nulla nel tempo necessario ad acquistare una bottiglia d’acqua e interessate a multare soltanto me nonostante ci fossero diverse autovetture davanti alla mia in sosta vietata”. De Pierro, che ha poi segnalato l’accaduto a una volante della Polizia che ha provveduto a prendere nota delle targhe delle altre automobili, sta valutando di avanzare una richiesta d’incontro al comandante del I Gruppo Cesarino Caioni e la presentazione di una denuncia per omissione di atti d’ufficio, anche se l’indagine dovrebbe partire automaticamente vista la procedibilità d’ufficio del presunto reato.
Parla il viceresponsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti:«Sono pratiche come queste che rischiano di trasformare questo paese in una fogna maleodorante, un acquitrino melmoso»
Roma – Certe volte le misure contano, nei rapporti. Anche quando i rapporti sono quelli della Procura, e portano all’arresto per tangenti di Luciano Mingiacchi, 67 anni, ex (da poco) direttore generale dell’Asl Roma-H, ex (da un po’ di più) commissario straordinario per la stessa Asl, ex (a metà degli anni ’70) sindaco di Anzio, stessa zona. Cinquemila euro al mese per cinque anni in cambio di una commessa per servizi informatici della stessa durata, commessa – per inciso – da mezzo milione di euro all’anno.
«È un triste, tragico esempio di nuova mafia da colletti bianchi – tuona Carmine Celardo, vice responsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti – che reca gravissimo danno alla Pubblica Amministrazione, distrugge la fiducia dei cittadini e annulla qualunque tentativo di libera concorrenza».
In carcere, già dallo scorso luglio, anche la complice di Mingiacchi, Patrizia Sanna, all’epoca dirigente dei servizi informatici della Asl, che avrebbe fatto da tramite tra il direttore e la società beneficiaria dell’appalto, la Isa spa. Sotto la lente di ingrandimento della Procura anche una consulenza che la società di servizi informatici corrispondeva al nipote di Mingiacchi.
Ed è quando si arriva al dunque che le dimensioni contano di più. Perché esistono soglie che cambiano la natura delle cose. I conti della serva dicono che 5mila euro al mese per 12 mesi fanno una tangente del 12% dell’ammontare complessivo dell’appalto. A cui va aggiunto quanto percepito dalla (o dai) complici. «È ipotizzabile che si tratti di una fetta del 20, 25% - rilancia l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro – ed è importante. Perché a questi livelli non si parla più di tangenti. A questi livelli si parla di estorsione vera e propria. Si parla di usura, anche nel caso in cui la società coinvolta sia, per così dire, consenziente». Non solo. «Il codice italiano parla chiaro – ribadisce Celardo – quando più di due persone sono coinvolte in associazione di reato per lo stesso capo di imputazione, scatta l’associazione a delinquere. E come tale chiediamo con forza che sia perseguita dalla Procura della Repubblica, a costo di impegnare la piazza. Chiediamo una punizione esemplare, applicata con mano ferma».
Ancora numeri. Il danno stimabile per la Asl coinvolta è di 125mila euro l’anno. Cioè oltre 600mila euro – stimando per difetto – complessivi. «Sono proprio tanti. E sono stati rubati tutti ai cittadini di Anzio, Nettuno, dei Castelli. Agli anziani. Ai bambini. Abbiamo superato ogni limite di decenza – esplode Celardo – parliamo di un personaggio che, se ne fosse provata la colpevolezza, avrebbe tradito almeno 2 volte il giuramento di fedeltà allo Stato, come commissario prima e come direttore poi. A fronte di queste cose serve un movimento di forte indignazione, di rivolta. Serve una nuova Mani Pulite».
Il responsabile ligure dell’Italia dei Diritti: “I recenti tagli finanziari effettuati dal governo inducono gli enti locali a ricercare approvvigionamento di denaro fresco da altre parti”
Genova – Sembrano destinate ad allargarsi le aree di sosta blu di Genova. I tagli ai trasferimenti dallo Stato costringono i comuni a trovare nuove risorse, così il capoluogo ligure è ricorso ai parcheggi a pagamento per far quadrare i conti. Ne verranno realizzati circa 8000 tra il completamento di Marassi, quello di San Martino e una parte di Media Valbisagno, ma il progetto genera comprensibilmente diversi dissensi tra i genovesi. Dura la reazione di Maurizio Ferraioli, responsabile ligure dell’Italia dei Diritti: “Fermo restando che i recenti tagli finanziari effettuati dal governo inducono gli enti locali a ricercare approvvigionamento di denaro fresco da altre parti e che comunque non è una giustificazione il fatto che la Genova Parcheggi sia una società in attivo, riteniamo aprioristicamente non adeguato l’ampliamento di 8000 parcheggi a pagamento, che non si traducono in una maggiore disponibilità di aree di sosta per tutti i cittadini, bensì esclusivamente in uno strumento per rimpinguare le casse comunali. Da un’amministrazione attenta ai bisogni della cittadinanza – continua Ferraioli – ci saremmo aspettati il posizionamento di aree di parcheggio a rotazione con l’utilizzo del cosiddetto disco orario. Mi aspetto quantomeno una palese dimostrazione, da parte del Comune, dell’esistenza di un corrispettivo tra l’incasso comunale e l’implementazione delle infrastrutture cittadine – conclude l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – cosicché queste eventuali ulteriori entrate possano essere interpretate documentandone le effettive finalità”.
Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti:”Non si può essere ambientalisti solo con le parole, c’è bisogno di fatti. Certe occasioni andrebbero colte al volo e non fatte affossate da lungaggini burocratiche e da scarsa attenzione”
Roma – Oltre 180 progetti per la realizzazione d’impianti ad energia pulita tra parchi eolici e fotovoltaici, decine di cave, strade e parcheggi, porti e discariche, metanodotti e stabilimenti industriali, in maggioranza realizzati da società private con capitali propri sono bloccati in Regione Lazio in attesa dell'ok necessario per l'apertura dei cantieri. Le opere non riescono a vedere la luce perché il Dipartimento Territorio, da cui dipende l'ufficio deputato al rilascio della Valutazione d’impatto ambientale, ritarda l'istruttoria.”Siamo di fronte – ha detto Roberto Soldà vicepresidente dell’Italia dei Diritti – ad un’amministrazione disattenta ai temi che riguardano l’ambiente e che, invece di fare da volano ad iniziative meritevoli che vanno incontro alle esigenze reali dei cittadini, si mette di ostacolo nella realizzazione di opere ed impianti che sarebbero di grande beneficio per tutta la regione”.
La sostanza del problema è che progetti che potrebbero far ripartire l’economia laziale, produrre sviluppo e occupazione a costo zero per la Regione e per i cittadini, si lasciano chiusi in un cassetto senza che gli si dia una risposta, provocando oltretutto il disappunto e la preoccupazione delle aziende che hanno fin qui investito somme di denaro importanti. “Quando si parla di tematiche ambientali – ha concluso l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – le persone si dovrebbero sciacquare la bocca, e quello che sta accadendo in Regione ne è l’ennesima dimostrazione. Non si può essere ambientalisti solo con le parole, c’è bisogno di fatti. Certe occasioni andrebbero colte al volo e non fatte affossate da lungaggini burocratiche e da una scarsa attenzione”.
Sulla vicenda sono intervenuti Antonello De Pierro e Giuliano Girlando, rispettivamente presidente e responsabile per la Giustizia del movimento
Roma – Non si è fatta attendere la reazione del movimento extraparlamentare Italia dei Diritti alla notizia che il sindaco di Castelvolturno Antonio Scalzone, ha dichiarato di essere contrario a una lapide per ricordare la strage di sei cittadini extracomunitari trucidatri 2 anni or sono davanti a una sartoria nel comune campano stretto nella morsa della Camorra.
A intervenire sulla questione sono stati il presidente del movimento Antonello De Pierro e il responsabile per la Giustizia Giuliano Girlando.
“Innanzitutto – ha dichiarato De Pierro - vorrei contestare immediatamente la riproposizione della solita favola del merito politico nella lotta alla criminalità organizzata, come ribadito dal sindaco Scalzone. Noi teniamo a ribadire all’infinito che tutte le notizie gradite di successi su tale fronte sono frutto di un duro lavoro da parte di magistratura e forze dell’ordine, nonostante il Governo invece puntualmente provveda a tagliare fondi in tali comparti. Ci siamo stancati di vedere politicanti che per poter racimolare consensi distribuiscono menzogne che addirittura stravolgono l’iter procedurale dell’attività di istituto di settori istituzionali di grande importanza. Per quanto concerne la decisione del sindaco di opporsi a una lapide per ricordare l’eccidio dei poveri extracomunitari, tali affermazioni mi lasciano allibito, in quanto ci troviamo di fronte a un’ amministrazione che non lancia segnali positivi nella lotta contro la Camorra. La gente del Casertano ha bisogno e soprattutto diritto a vivere in un territorio migliore e fino a quando ci saranno persone del genere ad amministrare vedo delinearsi un orizzonte all’insegna di una cronica incertezza e insicurezza. Mi auguro che le parole di Scalzone siano state dettate da paura, altrimenti sarebbe davvero preoccupante quanto pronunciato, anche se la stessa paura non dovrebbe appartenere a chi sceglie la via della responsabilità politica. Auspico un’immediata marcia indietro oppure il primo cittadino rassegni immediatamente le dimissioni dalla carica istituzionale che riveste”.
“E’ disumana la posizione del sindaco - ha fatto eco con uguale fervore Girlando – in quanto non offende solo la memoria della lotta alla criminalità, ma di proposito omette il valore dell’umanità che in quei territori è stata espressa con la vita e la missione di Don Giuseppe Diana. Come movimento intendiamo farci portatori del ricordo e delle lotte di persone come Don Diana e Giancarlo Siani. Abbiamo noi il compito di informare e dire la verità, per noi la camorra è una montagna di letame”.
La responsabile per l’Abruzzo dell’Italia dei Diritti: “Gli abruzzesi non ci stanno, con la salute non si scherza, non è oggetto di scherno”
L’Aquila – “I disservizi per le prestazioni sanitarie raggiungono un picco altissimo come mai registrato: gli utenti percorrono autentici calvari per ottenere anche le prestazioni di base, gli anziani sono spediti come pacchi da una struttura all'altra complice la disorganizzazione totale dei nosocomi più grandi a fronte delle chiusure di quelli più piccoli previsti dal piano regionale di dismissione selvaggia. Se per l'Abruzzo l'estate appena trascorsa è stata caldissima, in materia di Sanità si prospetta un autunno bollente”. Con queste parole la viceresponsabile per l’Abruzzo dell’Italia dei Diritti, Concetta Alfieri, si esprime sul nuovo caso di disservizio nella sanità abruzzese: a denunciare l’accaduto un cittadino pescarese di nome Ennio Romualdi che dal luglio scorso è in attesa di poter effettuare un esame diagnostico presso una delle strutture pubbliche preposte, e che dovrà attendere ancora sino a gennaio 2011. Causa del lungo ritardo, l’esubero delle richieste di prenotazione e la mancanza di strutture in grado di soddisfarle.
“Il caos è completo, il Servizio sanitario è tornato indietro di decenni – continua la Alfieri – ospedali come quelli di Chieti, Vasto, Teramo, Pescara sono in piena fibrillazione e intenti in parte a ricevere il personale dismesso, proveniente dagli ospedali chiusi, e in parte le migliaia di prenotazioni degli esami. Le liste di attesa sono lunghe di mesi e mesi: a Chieti si va dagli 8 ai 9 mesi per una mammografia, a Vasto per un risonanza magnetica occorrono oltre 5 mesi. Il quotidiano regionale Il Centro è letteralmente subissato dalle numerose segnalazioni di disfunzioni a seguito di un’iniziativa promossa i primi di settembre atta a mappare la dimensione del problema. Eppure sono passate appena due settimane dall'incontro del presidente Chiodi con il ministro Fazio, entrambi si sono affannati a dare delle risposte convincenti ai numerosi sindaci abruzzesi mobilitati per l'occasione, impegnati anche a turnover di presidi permanenti negli ospedali dismessi. Le parole pronunciate dal ministro che parlavano di come l'Abruzzo avrebbe avuto in tempi molto brevi una Sanità invidiabile – continua l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro – sanno di beffa o dimostrano che Gianni Chiodi, con molta irresponsabilità, non si rende conto della reale situazione e, chiedendo l'ausilio del ministro, cerca di superare il momento critico con le solite operazioni di facciata, con le solite promesse di ritorno dell’efficienza a breve”.
E proprio a Chiodi, la Alfieri rivolge il suo ammonimento: “Gli abruzzesi non ci stanno presidente, con la salute non si scherza, non è oggetto di scherno”.
Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Una Sanità che aggrava i mali invece di curarli è da Terzo Mondo”
Roma, 17 settembre 2010 – Da questa mattina le persone affette dal contagio da Hiv e da epatite, a causa di trasfusioni di sangue infetto negli anni ‘80, sono raccolte in un sit-in di protesta davanti al Parlamento per reclamare i tanto agognati risarcimenti. Il presidio continuerà ad oltranza.
“Un fatto increscioso che dimostra ulteriormente le lacune del nostro sistema sanitario nazionale – punta il dito accusatorio il vicepresidente dell’Italia dei Diritti, Roberto Soldà – e del menefreghismo del nostro governo che non riconosce la necessità risarcitoria che questi sfortunati concittadini meritano”.
Soldà non manca di rivolgere a queste persone la totale solidarietà del movimento guidato da Antonello De Pierro, affermando che “un paese in cui la Sanità pubblica, invece di curare le malattie ne acutizza e moltiplica i problemi, può tristemente considerarsi da Terzo Mondo”.
Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Il Governo cerca di minimizzare quando invece dovrebbe rivedere quei patti di amicizia così onerosi e umilianti che Berlusconi ha firmato con Gheddafi”
Roma – “È in questo modo ignobile che il paese di Gheddafi ricambia la benevolenza di Berlusconi, l’ospitale servilismo con cui solo pochi giorni fa il leader libico è stato accolto in Italia, con tanto di hostess compiacenti, inchini ossequiosi e soprattutto 5 miliardi di dollari come risarcimento per il nostro passato coloniale in Libia”. Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti, Roberto Soldà, sintetizza così il gravissimo caso del motopeschereccio di Mazara del Vallo mitragliato da una motovedetta libica nei giorni scorsi. Nel pomeriggio di oggi il ministro degli Esteri, Franco Frattini, dovrebbe riferire alla Camera sulla vicenda, ma ha già sottolineato che i rapporti diplomatici con la Libia non subiranno cambiamenti. Il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha fatto sapere che Tripoli ha presentato le sue scuse ufficiali, tuttavia sia per la Lega sia per le opposizioni parlamentari non basta chiedere il perdono, bensì è necessario salvaguardare la dignità dell’Italia e ridefinire le regole di ingaggio.
Poi Soldà, parlando a nome del movimento guidato da Antonello De Pierro, ha ricordato che “è doveroso che il Governo riferisca in Aula, con le opportune spiegazioni, su questo episodio che oserei definire drammatico, visto che solo per puro caso i colpi sparati ad altezza uomo non hanno provocato morti tra l’equipaggio del nostro peschereccio. A meravigliarmi – incalza Soldà – è la passiva accettazione che le istituzioni italiane stanno palesando, ciò significa che abbiamo totalmente perso autorevolezza, credibilità e peso diplomatico a livello internazionale”. E ancora: “Le banali scuse accontentano solo i bambini – dichiara furibonda la seconda carica dell’Italia dei Diritti –, e questo Governo invece di sottolineare la gravità dei fatti cerca di minimizzare”.
Quanto alla possibilità di ridefinire i trattati internazionali e risolvere la spinosa questione delle acque contese tra Italia e Libia, Soldà non reputa la soluzione sufficiente e pretende di più: “Bisogna assolutamente rivedere le relazioni di eccessiva amicizia con Gheddafi, modificando completamente i rapporti politici con il suo paese e rimettendo in discussione quei patti di cooperazione così onerosi e umilianti che il nostro premier ha già firmato con il colonnello”.