Il viceresponsabile capitolino dell’Italia dei Diritti: “Comportamento che configura il reato di evasione fiscale”
Roma - A Roma il 60% degli affitti per gli universitari fuori sede è in nero. Il 70% degli appartamenti non corrisponde alle descrizioni che ne vengono fatte sugli annunci, nonostante questo i prezzi risultano esorbitanti, con una media di seicento euro mensili per una stanza. Coinvolti in misura maggiore gli studenti non residenti nella Capitale, molti, uno su quindici subiscono la perenne scarsità di posti letto disponibili nelle strutture convenzionate e vengono costretti a cadere nella rete delle locazioni illegali.
“Questa – interviene Giuliano Girlando viceresponsabile per Roma dell’Italia dei Diritti – è la grave conseguenza della mancanza di un piano di edilizia scolastica a tutela degli studenti universitari, una questione irrisolta da parte della gestione comunale, specialmente a Roma, così come nelle altre città sedi di atenei che non affrontano definitivamente la situazione. Urgono – continua Girlando – risposte immediate da parte dei responsabili comunali romani e soprattutto dal Governo per quanto concerne le politiche universitarie. Dal Ministro Gelmini abbiamo visto attuata solo la politica dei tagli e non quella degli investimenti e delle risorse.”
Condizioni disagevoli pagate un prezzo salatissimo per i ragazzi, gli annunci infatti non descrivono l’amara realtà fatta di stanze senza finestra, posti letto in comune, uso della cucina permesso ad orari rigidi o non consentito affatto, il tutto senza un regolare contratto d’affitto.
“Il problema degli affitti in nero – conclude l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – è una forma di illegalità purtroppo assai diffusa nel paese, serve un maggiore controllo da parte delle autorità competenti, si tratta di un comportamento che configura il reato di evasione fiscale .”
Il viceresponsabile per la Tutela dei Consumatori dell’Italia dei Diritti: “Credo sia giunto il momento di pensare ad un nuovo piano regolatore per i trasporti pubblici. Il rincaro deve essere accompagnato alla maggiore efficienza del servizio taxi”
Roma – Il consiglio comunale di Roma con 30 voti favorevoli, 16 contrari ed 1 astenuto ha approvato, al termine di una giornata segnata da tensioni e scontri tra maggioranza ed opposizione, la delibera sull’aumento delle tariffe dei taxi. Secondo quanto stabilito poi da un emendamento contenuto nel provvedimento, l’entrata in vigore delle nuove tariffe sarà subordinata all’istituzione di una commissione tecnica che avrà il compito di valutare entro il 31 ottobre 2010 la congruità e l’impatto degli aumenti. “La prima cosa che mi sento di dire su questa vicenda – ha affermato Emiliano Varanini, viceresponsabile per la Tutela dei Consumatori dell’Italia dei Diritti – è che all’interno della commissione che esaminerà il provvedimento approvato dal consiglio comunale dovrà essere presente necessariamente un rappresentate dei cittadini. Non si può pensare che sull’argomento decidano solo l’amministrazione e i delegati dei tassisti. Chi usufruisce dei taxi deve avere voce in capitolo”.
Il provvedimento porterà da 0,98 a 1,42 euro il costo al km della tariffa progressiva, mentre la tratta che va da Roma all’aeroporto di Fiumicino salirà da 40 a 45 euro, e quella per lo scalo di Ciampino da 30 a 35. Ancora, per arrivare dalla Capitale a Civitavecchia occorreranno 120 euro. “Credo sia giunto il momento – ha proseguito l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – di tornare a ragionare a 360 gradi di trasporti, e di pensare più in generale ad un piano regolatore dei mezzi pubblici che sia efficiente e che possa rispondere alle esigenze dei cittadini. Il solo aumento delle tariffe, se non sarà accompagnato da altre misure capaci di migliorare il servizio taxi, come ad esempio la riduzione dei tempi delle corse e quindi del traffico, finirà soltanto per essere l’ennesima vessazione a danno delle persone che li usano per spostarsi in città. Non è possibile continuare a pensare il taxi come se fosse un auto privata a pagamento. Se ragioniamo in questo modo non andiamo nella giusta direzione”.
Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Bisogna rafforzare tutti i servizi di assistenza domiciliare che tutelino la salute e la dignità delle persone”
Roma – “Nonostante questo periodo di grave deficit sanitario e di pesanti tagli che stanno massacrando e impoverendo la regione, bisogna rafforzare tutti i servizi di assistenza domiciliare che tutelino la salute e la dignità delle persone che hanno la necessità di ricevere cure. Pensiamo ad esempio a tutti quei pazienti affetti da gravi malattie tumorali o patologie croniche”.
Con queste parole Roberto Soldà, vicepresidente dell’Italia dei Diritti, commenta il resoconto stilato dal “II Rapporto Audit civico del Lazio” compiuto da Cittadinanzattiva - Tribunale per i diritti del malato, che ha bocciato il sistema sanitario laziale, sottolineando l’inefficienza dell’assistenza domiciliare e la scarsità delle informazioni rivolte ai cittadini sui servizi di base. Il rapporto presentato ieri a Roma e realizzato grazie al contributo della Regione Lazio, ha coinvolto 120 cittadini che hanno indagato personalmente 111 strutture sanitarie presenti sul territorio regionale, evidenziando anche la mancata esistenza di una politica concreta delle associazioni dei cittadini, i quali non hanno possibilità di intervenire nelle decisioni e nella verifica sulla qualità delle torniture.
La viceresponsabile per la Giustizia dell’Italia dei Diritti «In Italia la detenzione non è una punizione eseguita secondo la legge, ma una leva che porta a forme di annullamento e perfino alla morte»
Roma – Da ieri mattina sono 101. In faccia ad un sistema che non se ne cura, in faccia ad un’opinione pubblica per la quale il fenomeno non esiste, in faccia ad uno Stato che non vedendo il problema, non si preoccupa della soluzione.
Centouno, la carica dei detenuti suicidi. Centouno dall’inizio dell’anno. «L’aumento vertiginoso dei suicidi in carcere negli ultimi anni ci obbliga a concepire nuovi modelli organizzativi, che risolvano come da Costituzione i problemi delle disfunzioni, del sovraffollamento e della crescente invivibilità delle carceri», dice Lea Del Greco, viceresponsabile per la Giustizia dell’Italia dei Diritti.
Costituzione Italiana, articolo 27, terzo comma:«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Rincara la dose l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro:«Ho la ferma convinzione che il circuito penitenziario non possa e non debba essere concepito come luogo vuoto di diritto, in cui possa accadere di tutto, purché non si sappia all’esterno».
Antimo Spada, 35 anni, camorrista e detenuto a rischio, trasferito dal carcere di Lecce a quello di Torino, direttamente nella settima sezione, blocco A, destinata ai prigionieri con problemi di equilibrio mentale, sorvegliata – in teoria – 24 ore al giorno.
Antimo Spada che per il pianeta-carcere, unica stella di una galassia isolata e senza contatti con le altre, è poco più di un rumore di fondo in una traccia musicale già sgradevole. «Per i detenuti a rischio non esiste alcuna norma specifica. Quelli che tentano il suicidio vengono sottoposti al regime di vigilanza previsto dall’articolo 14 bis del’ordinamento penitenziario. Lo stesso che viene applicato a coloro che turbano l’ordine. Vuol dire che l’amministrazione li considera come fossero una turbativa, un problema».
Problemi che trovano da soli la loro soluzione. Un lenzuolo attorno al collo sotto gli occhi di una telecamera di controllo, come nel caso di Spada. O vetri nello stomaco. O gas inalato da fornelletti da campo. O vene tagliate con mezzi di fortuna, quando l’equilibrio già precario tra disperazione e costrizione diventa insostenibile. «Manca del tutto una reale indagine sulle cause scatenanti dietro a gesti tanto estremi – continua la Del Greco – che deve essere tempestiva, e scattare molto prima che vengano oltrepassati i limiti della tollerabilità umana. E poi serve più trasparenza rispetto alle regole interne alle carceri. E lo sviluppo di un sistema di pene più aderente al Trattato costituzionale».
La viceresponsabile per la provincia di Roma dell’Italia dei Diritti: “Episodio che testimonia come la corruzione si annidi spesso tra le cariche dirigenziali”
“Credo che questo ennesimo episodio dimostri come sono sempre le alte cariche dirigenziali a sguazzare bene nell'illegalità a scapito dei dipendenti e degli utenti”. Questo il secco commento della viceresponsabile per la provincia di Roma dell’Italia de Diritti, Loredana Orefice, in seguito all’arresto per corruzione aggravata di Patrizia Sanna, dirigente del servizio informatico della Asl RM-H, che avrebbe incassato tangenti da un'impresa informatica viterbese, la Isa, per assicurare a quest’ultima svariati milioni di euro di forniture e prestazioni tecnologiche. Questa pessima gestione avrebbe indebitato la Asl a danno dei dipendenti che sarebbero ancora in attesa del saldo dell' incentivo 2008, di quello relativo al 2009 e dell' acconto dell' incentivo per l’anno 2010, nonché dell’erogazione dei buoni pasto in arretrato di ben 17 mesi nonostante le proteste dei sindacati. Chiosa l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro: “Questi soggetti di dubbia moralità conoscono bene i sistemi per muoversi tra le maglie dell’illecito e anche come si può giustificare subito il rientro del bilancio per il piano regionale per i troppi debiti accumulati. Mi auguro che si faccia luce sulla vicenda e che chi debba rispondere del male apportato paghi le conseguenze pienamente e fino in fondo, risarcendo i danni arrecati alle casse della Asl”.
Il responsabile per Roma dell’Italia dei Diritti esorta a distinguere: che la legittima condanna di un atto illecito non condizioni la libera attribuzione delle responsabilità
Roma – Il primo rischio è il «pensiero inutile», il pensiero qualunquista da bar del lunedì mattina, che confonde cronaca, politica e notizie sportive. «La prima cosa che passa nella mente di tutti coloro che apprendono notizie come queste è che politici, amministratori e militari sono tutti uguali – commenta il responsabile romano dell’Italia dei Diritti, Alessandro Calgani – Credo che sia il caso di evitare questa forma di pensiero inutile».
A balzare ai dubbi onori della cronaca è F.P., 49 anni, tenente colonnello dell’esercito, di stanza presso il comando dei supporti delle forze operative terrestri di base alla Cecchignola, arrestato in flagranza di reato dai carabinieri del nucleo operativo mentre all'interno del suo ufficio riceveva dalle mani di un imprenditore una tangente di circa 5mila euro.
«Questi atti deplorevoli non possono che essere condannati, ma sono propenso a considerarli fenomeni fisiologici di malcostume che si riscontrano ovunque – rincara la dose l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro – e poi bisognerebbe pensare che gli attori coinvolti sono sempre due. Da una parte un rappresentante del mondo delle istituzioni, dall’altra di quello economico. Il tornaconto è di entrambi, come le responsabilità».
Non solo. Il vero rischio connesso al «pensiero inutile» è che quello che tutti pensano prenda il posto di ciò che non tutti vedono, o vorrebbero vedere. « Il problema – conclude Calgani – è l'incremento di questi fenomeni, che si tende ad omettere dalle cronache, piuttosto che a contrastare radicalmente. Roma ha una grande opportunità, ma l'esempio dovrebbe nascere anche dai suoi amministratori, che spesso invece fanno notizia per essere coinvolti in atti analoghi».
Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Se da un lato i turisti devono contribuire ai servizi della città, dall’altro non si deve disincentivare il turismo e penalizzare la fruizione della cultura”
“Occorre ridare al territorio e ai cittadini romani un ritorno economico delle attività svolte dai turisti e dei servizi che utilizzano poiché gli oneri non debbono ricadere tutti sui residenti, penso ad esempio alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti e altro. Al tempo stesso non si deve però demotivare il turismo, fondamentale per la nostra economia, né penalizzare la fruizione della cultura”. Queste le prime parole del vicepresidente dell’Italia de Diritti, Roberto Soldà, sulla tanto dibattuta tassa di soggiorno e le sue possibili applicazioni attualmente allo studio tra cui l’ultima ipotesi che prevedrebbe l’aumento del prezzo dei musei della Capitale per i non residenti. Perplessità del vicepresidente del movimento presieduto da Antonello De Pierro: “Occorre una seria riflessione sull’eventuale ripartizione di una tassa di soggiorno perché non è equo penalizzare la cultura e soprattutto i nuclei familiari che visitano i musei, un aumento di tre euro a biglietto significa, per una famiglia di quattro persone, una maggiorazione di dodici euro per ciascun museo e questo andrebbe a ricadere su tutti gli individui senza tenere conto delle differenze di reddito, togliendo la possibilità di vedere uno o più musei a chi non può permetterselo. Non è giusto – spiega Soldà – che la tassa sia la stessa per chi alloggia in un hotel di lusso o al bed and breakfast o all’ostello. Forse sarebbe opportuno far pagare a chi ha più disponibilità senza toccare indiscriminatamente tutti. E’ una questione complessa che richiede un’analisi approfondita: se da un lato i turisti devono contribuire ai servizi della città, dall’altro occorre valutare l’impatto di certi provvedimenti, aumentare il prezzo dei musei potrebbe ridurre il numero dei visitatori, la famiglia media di quattro persone, visti i costi, potrebbe decidere di rinunciare ad un museo e vederne due invece di tre. Forse sarebbe più opportuno – conclude Soldà – valutare l’ipotesi di far pagare questo tributo a coloro che alloggiano in hotel a quattro-cinque stelle per non disincentivare il turismo, la questione è controversa e va valutata con la massima cura e attenzione”.
La viceresponsabile per il Lavoro e l’Occupazione dell’Italia dei Diritti: “Questa decisione è un atto gravissimo che viola i diritti sindacali e la libertà di sciopero prevista dalla Costituzione”
Roma – Tre operai del reparto montaggio dello stabilimento della Fiat di Melfi, due dei quali delegati Fiom, sono stati licenziati con l’accusa di aver ostacolato il carrello robotizzato durante un corteo interno e di aver impedito ai lavoratori che non partecipavano allo sciopero di svolgere le loro abituali mansioni. In segno di protesta i tre operai licenziati sono saliti sulla “Porta Venosina”, monumento del centro storico di Melfi, dove nella giornata di domani saranno raggiunti dai loro colleghi che sciopereranno e manifesteranno contro la decisione presa dall’azienda. “Nell’Italia della legalità e delle libertà violate – ha affermato Antonella Sassone, viceresponsabile per il Lavoro e l’Occupazione dell’Italia dei Diritti – il licenziamento facile appare l’approdo naturale dell’evoluzione del sistema giuslavoristico nazionale. Se poi ad essere licenziati sono tre lavoratori aderenti ad uno sciopero promosso dalla Fiom tanto meglio. E se due di loro sono anche rappresentanti sindacali allora se la sono proprio cercata, trattandosi di un’organizzazione di categoria della Cgil che è al momento l’unico sindacato che non firma accordi con i padroni a danno dei lavoratori”.
Nel frattempo i colleghi della Fiat di Mirafiori iscritti alla Fiom, consapevoli della grave crisi economica che sta attraversando l’industria automobilistica italiana, hanno scritto all’amministratore delegato Sergio Marchionne per chiedergli un confronto franco, lontano dai riflettori mediatici, allo scopo di affrontare insieme i problemi dell’azienda e far sì che non siano sempre e solo i lavoratori a pagare i costi della crisi. “Il licenziamento dei tre dipendenti – ha proseguito l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro – è un atto gravissimo, che da un lato danneggia ingiustamente gli operai, dall’altro viola le libertà sindacali e il diritto di sciopero, che è un provvedimento previsto e protetto dall’art. 40 della Costituzione. A meno di non voler subordinare la Carta repubblicana anche ai diktat di Marchionne & co. dobbiamo prendere atto dell’ennesimo vulnus alla nostra libertà e alla ‘democrazia fondata sul lavoro’. Se la Fiat non ritirerà immediatamente i licenziamenti c’è il pericolo che si crei un precedente che renderà tutti ancora più precari e ricattabili”.
La responsabile per l’Economia e le Finanze dell’Italia dei Diritti: “Governo incapace di concordare manovre coerenti tra loro”
“Di fronte a una crisi che vede l’Europa impegnata a disegnare e concordare una riforma fiscale che assicuri stabilità economica ma anche una rigorosa capacità di crescita, continua la strategia da apprendisti stregoni del nostro Governo: incapaci di coordinarsi al proprio interno e concordare manovre coerenti tra loro, i diversi membri dell’esecutivo procedono in ordine sparso”. Questo il primo aspro commento della responsabile per l’Economia e le Finanze dell’Italia dei Diritti, Lilia Infelise, alla notizia dell’imminente arrivo della tassa municipale, la nuova imposta unica sugli immobili detta anche Service tax, che accorperebbe tutti i tributi legati agli immobili come l’Ici sulle seconde case, l’imposta ipotecaria e catastale, quella di registro e l’Irpef riconducibile agli immobili. A queste, Calderoli avrebbe aggiunto la Tarsu sui rifiuti, un'imposta forfettaria sulle case fantasma e la cedolare secca sugli affitti al 23 per cento. A lasciare perplessi anche alcuni membri della stessa maggioranza, la libertà per i sindaci di introdurre o meno la tassa e, soprattutto, la facoltà di questi di aumentare o diminuire l’importo di addizionali come ad esempio la Tarsu. In pratica i sindaci dal 2012, in autonomia, potranno gestire circa 20 miliardi in più di quanto oggi incassano con l'Ici ma queste entrate impoveriranno un equivalente gettito centrale fatto anche di trasferimenti agli stessi Comuni. A pagare saranno i cittadini ai quali la tassa municipale costerà in media 400 euro a testa. Dura la critica dell’esponente del movimento presieduto da Antonello de Pierro: “Tutto questo ci preoccupa, poiché in un’economia ormai ai limiti del collasso come quella italiana, ogni misura va attentamente studiata in relazione all’interazione con le altre manovre, con particolare attenzione alla capacità di gettito delle classi sociali e dei territori più deboli, al mantenimento della coesione della collettività, alla capacità di ripresa dei consumi delle famiglie e alla sopravvivenza e allo sviluppo delle piccole e micro imprese”.
Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti: “Ennesimo esempio negativo che coinvolge un esponente del PdL”
Roma – “È un atto dovuto, benché tardivo”. Il vicepresidente dell’Italia dei Diritti, Roberto Soldà, taglia corto sulle dimissioni rassegnate ieri dal sottosegretario all’Economia, Nicola Cosentino, indagato nell’inchiesta sulla cosiddetta P3, e per il quale era già stata calendarizzata la mozione di sfiducia alla Camera, presentata dalle opposizioni che ora cantano vittoria.
Soldà parla anche del problema relativo alla questione morale all’interno del partito di Berlusconi: “Come raccontano le cronache di questi giorni non si tratta certo del primo esponente del PdL invischiato in attività illecite ai danni dello Stato e della collettività nazionale. Questo ennesimo esempio negativo di chi dovrebbe rappresentare il popolo all’interno delle istituzioni lede profondamente i principi della nostra democrazia. Le dimissioni di Cosentino sono un gesto di responsabilità, ma più responsabile sarebbe stato presentarle prima, e non dopo la concreta possibilità di una mozione di sfiducia, che peraltro sarebbe stata votata anche da alcuni membri del suo stesso schieramento, come i deputati finiani”.
Quanto al ruolo svolto in questa circostanza dai partiti di opposizione, il numero due del movimento per i diritti civili retto da Antonello De Pierro non ha dubbi: “È anche attraverso queste battaglie che la gente percepisce la presenza in Parlamento di una seria opposizione, che mi auguro continuerà a battersi indomita al fine di garantire la legalità e la trasparenza nel nostro Paese”.
Antonella Sassone, viceresponsabile per il Lavoro e l’Occupazione del movimento: “Ingiusto far pagare ai lavoratori le nefandezze commesse dagli amministratori che si sono succeduti negli anni”
“Quando leggo dei licenziamenti alla Telecom resto sbalordita per come vengano decontestualizzati da tutto il trascorso dell’azienda. Come se fossero, solo, l’effetto della crisi, una sciagura piovuta dall’alto all’improvviso, ma non è così”. Questo il primo amaro commento della viceresponsabile per il Lavoro e l’Occupazione dell’Italia dei Diritti, Antonella Sassone, alla terribile prospettiva che la Telecom potrebbe licenziare circa 6822 persone entro il 2012 se non si troverà una soluzione in accordo con i sindacati, risoluzione auspicata comunque da Telecom e che avvierà l’apertura di un tavolo di trattativa. Duro l’affondo dell’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro circa le responsabilità dell’azienda sull’attuale condizione in cui versa: “Chi si informa sulla rete sa bene che alla base di questa situazione ci sono le nefandezze degli amministratori Telecom che si sono succeduti negli anni. Non si può non citare la battaglia di Beppe Grillo, ignorato dai più ma che costituisce drammaticamente l’unico tentativo di denuncia dell’ennesimo scempio nazionale poiché un intervento come il suo me lo sarei aspettato da lor signori politici che hanno avuto anche il coraggio di criticarlo. Telecom non è solo un’azienda che è andata in frantumi ma un laboratorio di interessi politici e finanziari pagati sulla testa degli azionisti e dei lavoratori. In principio – spiega la Sassone – Telecom era una società in ottima salute, dove ad un certo punto i suoi amministratori, leggi Tronchetti Provera, hanno deciso di allargare il loro campo d’azione alle intercettazioni illegali ai danni di due ministeri e migliaia di italiani. Si trattava di intercettazioni non autorizzate da nessun organo giudiziario perciò illegali ma lì nessuno gridò allo scandalo. E dopo che Telecom ha dovuto risarcire 7 milioni di euro, Tronchetti Provera è stato promosso - indovinate da chi? - a presidente di Mediobanca con Marina Berlusconi al Consiglio di Amministrazione. Dopo il Tronchetti nazionale adeguatamente premiato per aver distrutto un’azienda florida ecco Franco Bernabè che come primo atto della sua nuova gestione cede, o meglio regala, Telecom alla spagnola Telefonica, l’alternativa sarebbe stato il fallimento dell’azienda che negli ultimi otto anni ha accumulato debiti per 35 milioni di euro. Ora – conclude indignata la Sassone – chiedere alle forze politiche che hanno avallato queste condotte, di cui molte all’attenzione dei giudici di Milano, di porre un freno ai licenziamenti con il giochetto della cassa integrazione e delle liste di mobilità è una cosa ridicola. Ma dove dovrebbero essere ricollocati i lavoratori messi in mobilità se sono previsti altri tagli in tutti i settori produttivi? Forse a Mediobanca o a Palazzo Grazioli se si tratta di avvenenti signorine?”.