La responsabile provinciale per Latina dell’Italia dei Diritti punta il dito
contro i veleni che contaminano il territorio:
“Due centrali nucleari, il Garigliano e una discarica a Foce Verde
stringono la nostra provincia in una morsa, speriamo non sia mortale”
Roma - “Il mesotelioma è un termine che potrebbe apparire pieno di poesia se non fosse collegato ad una delle malattie più infide contratte da coloro che per anni sono stati esposti all’amianto”. Comincia così il commento di Camelia Di Marcantonio, responsabile per la provincia di Latina dell’Italia dei Diritti, in risposta al primo studio sul territorio da parte del centro regionale amianto. Secondo una stima approssimativa tra Aprilia e Anzio sarebbero presenti seimila tonnellate e duecento chilometri quadrati della pericolosa sostanza.
“Nella nostra provincia – afferma la Di Marcantonio - per anni si è trascurato il fatto che alcune delle multinazionali presenti sul territorio, in realtà, hanno avvelenato lentamente i lavoratori che in quelle industrie operavano”.
“La normativa italiana è ancora carente rispetto alle malattie correlate all’esposizione dell’absesto, termine con cui si indica scientificamente l’amianto”. Secondo la referente locale del movimento presieduto da Antonello De Pierro la proposta di legge, depositata dal Partito di Rifondazione Comunista, per una mappatura completa e rimozione totale dell’amianto, giunge a proposito, per riempire un vuoto normativo italiano.
“La speranza – continua la Di Marcantonio – è che l’iniziativa della sinistra non sia il solito spot elettorale e che continui, ad urne chiuse, il prossimo 17 maggio”.
A sentire le testimonianze delle famiglie dei lavoratori, ex Goodyear e Fulgorcavi, si viene a conoscenza di una vita di traversie tra ambulatori ed ospedali, fino all’evento tragico. “Un evento tragico che – incalza l’esponente dell’Italia dei Diritti – lascia sola la famiglia anche di fronte ad una giustizia che non dà risposte in positivo ai congiunti dei deceduti d’amianto”. I diritti negati agli esposti all’amianto sono stati portati a Strasburgo, presso la sede della Corte di Giustizia Europea, lo sottolinea la Di Marcantonio che precisa: “Le censure mosse dalla Corte all’Italia sono rimaste fino ad oggi lettera morta”.
“Il problema dell’amianto si aggiunge ai già tanti veleni della nostra provincia, due centrali nucleari, il Garigliano e una discarica traboccante a Foce Verde – conclude la referente locale – stringono la nostra provincia in una morsa, speriamo non sia una morsa mortale”.
La vice responsabile per la Campania dell’Italia dei Diritti:
“La soluzione non è l’esercito, appare evidente che anche il cosiddetto ‘miracolo napoletano’ del 2008 altro non è stato che una farsa a favor di telecamera”
Napoli – Dopo l’invio dell’esercito in Campania per combattere l’emergenza rifiuti continuano le proteste e gli episodi di tensione. Davanti alla discarica di Giugliano gli autisti dell’azienda di rimozione della spazzatura, Asìa, in fila dalla mattina, hanno fischiato i soldati che sono riusciti a scaricare subito nel sito.
Sullo scottante tema si esprime Licia Palmentieri , vice responsabile per la Campania dell’Italia dei Diritti: “Fa piacere constatare che anche i cittadini, oltre ai dipendenti dell’Asìa, abbiano acquisito la consapevolezza che l’invio dell’esercito rappresenti l’ennesimo atto propagandistico pre-elettorale, e che i militari non possano essere la soluzione perché non sono addestrati certo alla rimozione dei rifiuti”.
Secondo la referente del movimento presieduto da Antonello De Pierro non è la rimozione l’ostacolo da superare: “Con le discariche al collasso e con il termovalorizzatore a singhiozzo appare evidente, sempre più capillarmente, che anche il cosiddetto ‘miracolo napoletano’ del 2008 altro non è stato che una farsa a favor di telecamera”.
“Purtroppo però - continua – le responsabilità del disastro ambientale napoletano sono trasversali e ciò determina una sfiducia altissima da parte dei cittadini campani in tutte le istituzioni”.
“Non si può dar loro torto - afferma con rammarico la Palmentieri – . Abituati alla tradizione teatrale campana, questo via vai di soldati e di dichiarazioni ad effetto, appare come l’ennesimo atto di una commedia tragicomica che ormai non convince più nessuno”.
Lo sguardo della referente dell’Italia dei Diritti è lungimirante: “ Per la soluzione del problema, purtroppo, siamo ancora distanti dal traguardo. Non si vedono neppure in lontananza proposte risolutive e non si accenna minimamente al fatto che l’emergenza rifiuti in Campania stia diventando un problema nazionale perché rivela come in buona parte del centro-sud lo smaltimento dei rifiuti sia ormai prossimo al collasso”.
Servono soluzioni strutturali secondo la Palmentieri, secondo la quale è “ridicolo” definire emergenza un fenomeno che perdura da un decennio. “Queste soluzioni non devono però - conclude -, passare sulla salute dei cittadini attraverso la frettolosa attivazione di discariche non a norma ed inceneritori difettosi”.
Roma - “Ci rivolgiamo alle poche forze sane della politica e soprattutto a quelle cellule vive del nostro tessuto sociale, allo scopo di unirci in un impegno comune e condiviso, tradotto in una lotta civile con l’obiettivo univoco e imprescindibile di sconfiggere Berlusconi e il berlusconismo”.
Inizia così l’accorato e disperato appello di Antonello De Pierro, presidente dell’Italia dei Diritti, contro una gestione governativa fallimentare e deleteria per l’intera nazione, che ormai da lungo tempo allunga la sua ombra nociva e demolitrice sul nostro apparato istituzionale, con conseguenze devastanti su tutte le propaggini correlate.
“L’Italia è il nostro paese – continua De Pierro -, la terra in cui siamo cresciuti e che amiamo, e non riusciamo a sopportare il dolore profondo che proviamo nel vederla stritolata dalle spire del degrado morale, nella desolazione di un arido deserto di valori. Per noi è particolarmente dura in quanto a essere umiliati e calpestati sono quei valori nei quali crediamo con sincerità, lealtà e trasparenza, al contrario di tanti politicanti all’arrembaggio, che li confinano nel cono d’ombra di vuoti contenitori retorici e demagogici, al solo disgustoso e opportunistico scopo di riuscire ad agguantare e conservare uno scranno sul proscenio peloso della politica”.
Poi il numero uno del movimento si addentra in un’analisi della società italica, additando una corruzione dilagante, divenuta parte integrante dell’ordinaria attività istituzionale: “Vi preghiamo di unirvi a noi e di sposare con impegno e decisione questa causa, perché siamo ormai a un punto di non ritorno, con una nomenclatura politica quasi del tutto da rifare. Il problema non è Berlusconi persona, ma il berlusconismo, che è derivato da alcuni comportamenti che si sono insinuati in tutti gli strati della struttura sociale del paese, assurgendo ormai non più a episodi ma a sistema.
Abbiamo il dovere di difendere la nostra Italia contro le corruttele dilaganti nel corpo politico-istituzionale, contro l’illegalità ormai divenuta consuetudine comportamentale, contro i vari conflitti di interessi che inquinano l’intero sistema.”
Quindi si pronuncia sull’ipotesi di un eventuale coinvolgimento istituzionale pieno dell’Italia dei Diritti: “Qualcuno ci ha chiesto di rinunciare al nostro ruolo di movimento extraparlamentare e di fare politica attiva entrando nelle istituzioni. La nostra risposta è che con la nostra informazione scomoda siamo già nelle istituzioni, ma purtroppo siamo molto censurati e oscurati dalla maggior parte dei media, ben addomesticati e genuflessi ai piedi del potere al quale sono avvinghiati. Ebbene, alla luce di tutto ciò, per cercare di dare finalmente una svolta a un paese alla deriva, abbiamo deciso di accettare questa sfida, ma ci serve un aiuto concreto e un impegno pressante sul territorio da parte di quei cittadini che credono nei valori che caldeggiamo, per dare voce alle problematiche ignorate che invece hanno bisogno di essere sollevate. Chiarisco però fin d’ora che non presenteremo per nessun motivo liste autonome, ma la nostra vocazione e le nostre proposte rinnovatrici si tradurranno in candidature indipendenti nelle file di un partito che riterremo più vicino alle nostre pulsioni ideali, che naturalmente accetterà di rinunciare alle logiche spartitorie e clientelari riconoscendo la nostra autonomia. Sono già giunte alcune proposte in tal senso. Qualche deroga alla nostra contrarietà di presentare liste autonome potrà essere possibile soltanto in occasione di alcune consultazioni amministrative comunali, ma la cosa sarà valutata caso per caso, soprattutto in funzione di una concreta opportunità vantaggiosa per la coalizione che andremo a sostenere, naturalmente a beneficio dei cittadini, che è l’unica cosa che ci interessa realmente e da cui non possiamo prescindere per alcun motivo”.
Con sentito e palese coinvolgimento emotivo il leader del movimento extraparlamentare conclude: “Vi prego ancora, aiutateci a cambiare il nostro paese, il nostro futuro e quello dei nostri figli, contro le lobby affaristiche che si sono impadronite della politica a danno della maggioranza della popolazione. Siamo convinti del fatto che chi ha votato per questo centrodestra l’ha fatto, o per interessi personali, oppure perché ingannato da un’informazione fuorviante e menzognera, messa in atto da un esercito mediatico mistificante con finalità di affossamento degli stimoli culturali, che riconduce ad atteggiamenti ed espressioni comportamentali di borbonica memoria. Noi siamo e vogliamo restare lontani dalle logiche del potere. Forse saremo idealisti, ma la storia ci insegna che la forza delle idee può smuovere le montagne e può spostare i fiumi, e questi concetti sono attualissimi e attuabilissimi. Serve solo diffondere le idee giuste, col loro carico di valori sani e incontaminati, e per questo chiediamo il vostro aiuto. Contro la forza mistificatrice della propaganda berlusconiana basta solo che chi ha la coscienza ben viva e non anestetizzata, racconti la verità storica dei fatti a più persone possibili. E’ questa la chiave della vittoria. Noi non dobbiamo convincere nessuno delle nostre idee, dobbiamo solo raccontare la verità”.
La Vice Responsabile per Roma dell’Italia dei Diritti :“Se sono stati condannati per un semplice bacio, si tratta di una decisione abnorme e ingiustificata”
Roma, – È scattata la condanna a due mesi di reclusione per i due ragazzi omosessuali, Michele F. e Roberto L., accusati di atti osceni in luogo pubblico, per la precisione nei pressi del Colosseo. Il fatto risale al 2007. La coppia gay dovrà inoltre corrispondere una multa di 2.280 euro.
“Se i ragazzi sono stati condannati per un semplice bacio si tratta di una decisione abnorme e ingiustificata – asserisce Antonella Sassone, Vice Responsabile per Roma dell’Italia dei Diritti -, se invece sono stati condannati per un rapporto orale in un luogo pubblico, in quel caso non è una condanna contro due omosessuali ma la pedissequa applicazione della legge”.
La Procura riferisce che i due furono sorpresi durante un rapporto orale, la difesa risponde che si trattava di un semplice bacio in quanto uno dei due imputati era fisicamente impossibilitato, in seguito a un intervento chirurgico, a compiere l’atto sessuale. Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center, ha reso nota la decisione di ricorrere in appello.
“Prima di lasciarsi andare a semplicistiche accuse – conclude l’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro -, è necessario attendere le motivazioni della sentenza, e in ogni caso ci sarà un secondo grado di giudizio che darà alle parti la possibilità di portare all’attenzione dei magistrati tutti gli elementi trascurati in primo grado”.
La viceresponsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti: “Inquadrerei il fatto in un atteggiamento preoccupante che sembra da un po’ nell’aria, ossia il non aver più coscienza di quella che può essere la gravità di un revival del ventennio”
Roma - Gianluca Caprasecca, candidato al consiglio comunale di Pomezia nella lista “Citta Nuove”, ha scelto di piazzare sul proprio manifesto elettorale un’immagine del Duce del fascismo. Sotto un Benito Mussolini chiaramente identificabile in divisa e berretto delle forze armate, appaiono due slogan facilmente riconducibili al ventennio come “Rispetto e Onore” o “Lui ha fondato Pomezia, a noi il compito di farla crescere”.
Sui fatti, che hanno destato scalpore e perplessità è intervenuta Anna Nieddu, viceresponsabile per il Lazio dell’Italia dei Diritti: “Tempo addietro l’esaltazione di un simbolo del ventennio veniva considerata reato, stimata “apologia del Fascismo”. Attualmente invece sembra espandersi un fenomeno preoccupante che interessa anche la città di Roma, dilagano i manifesti di piccoli partiti e di movimenti che sono di chiaro stampo fascista, non di destra, ma realmente fascisti nell’iconografia e nel linguaggio. Pur essendo Pomezia una città tradizionalmente di destra – analizza la Nieddu - , probabilmente anni fa ci si sarebbe andati più cauti. Io inquadrerei il fatto in un atteggiamento preoccupante che sembra da un po’ nell’aria, ossia il non aver più coscienza di quella che può essere la gravità di un revival del ventennio”.
Caprasecca al momento non sembra voler giustificare o difendere la propria sconsiderata scelta, mentre è stata tempestiva la reazione della presidente regionale Renata Polverini che ha annunciato accertamenti e l’immediato ritiro dei manifesti elettorali oggetto di sdegno. La governatrice laziale infatti, è stata chiamata in causa poiché oltre ad essere promotrice della Lista “Citta Nuove”, si è spesa personalmente per sostenere la capolista di Pomezia Maricetta Tiritto.
“Ritengo giusto – dichiara l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro - che la Polverini ritiri un manifesto che non avrebbe dovuto avere ragion d’essere, soprattutto a livello politico. È totalmente inaccettabile. Però purtroppo è un segnale pericoloso, di una scarsa considerazione dei tanti effetti drammatici del fascismo, di tutto ciò che una certa epoca ha significato per noi. Non è storia lontana – conclude la Nieddu - , è grave che a distanza di così poco tempo si sia abbassata la guardia e si lascino usare normalmente questi simboli che appartengono ad un tragico passato”
Il responsabile per la Difesa e gli Affari Militari dell’Italia dei Diritti: “Ritengo che questa guerra sia inutile, giacché se ne dovrebbero occupare le diverse diplomazie che hanno il compito di intervenire per prevenire disastri come quello che si sta consumando attualmente nel Maghreb”
Roma - Dopo le tensioni degli ultimi giorni tra Bossi e Berlusconi sull’improvviso cambio di rotta del presidente del Consiglio relativamente all’intervento militare italiano in Libia, torna la quiete nella maggioranza. Ieri, infatti, la Camera ha approvato, con 309 voti favorevoli e 294 contrari, la mozione di Lega e Pdl sulla posizione che dovrà tenere il Governo italiano nella guerra libica. La decisione è stata definita, da più parti, come l’ennesimo passo indietro fatto dal Carroccio nei confronti del Popolo della Libertà. Allo stesso modo la pensa Gennaro Saltalamacchia, responsabile per la Difesa e gli Affari Militari dell’Italia dei Diritti, che commenta il voto in questo modo: “Ancora una volta si palesa la mancanza di coerenza politica da parte della Lega che, in questo caso, aveva dimostrato, fino a qualche giorno fa, una linea politica completamente in opposizione a quella del Pdl. Ieri, è stata votata una mozione che io ritengo estremamente ridicola, poiché non è possibile stabilire ad oggi una data certa per la fine di un conflitto di questo tipo”.
L’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro, quindi, si sofferma sulla questione libica: “Innanzitutto, dovremmo domandarci se è il caso di continuare a fare una guerra che ritengo inutile, giacché se ne dovrebbero occupare le diverse diplomazie che hanno il compito di intervenire al fine di prevenire disastri, come quello che si sta consumando attualmente nel Maghreb”.
Saltalamacchia conclude il suo intervento, analizzando la decisione presa dal Parlamento e tenendo presente i problemi generali del Belpaese: “Con il voto di ieri, ancora una volta, il Governo ha dimostrato di essere estremamente egoista, poiché non tiene conto né delle possibilità delle proprie forze militari né delle volontà dei propri cittadini. Dobbiamo dire, una volta e per tutte, basta ai massacri inutili. Inoltre, abbiamo il dovere di soccorrere queste popolazioni sul posto, sul loro territorio, in modo da aiutare loro a non abbandonare le proprie terre, le proprie origini, per venire in un Paese come il nostro, privo di un’organizzazione capace di ricevere queste persone e inadeguato ad offrire loro la sicurezza necessaria.
In conclusione, ritengo che sia indispensabile un intervento da parte del Governo che miri a recuperare le risorse che stiamo dissipando in modo incosciente. Bisogna muoversi, immediatamente, per una politica sociale e occupazionale, soprattutto in riferimento ai giovani, che possa migliorare lo stato sociale nazionale e ridurre lo stato di disoccupazione dilagante”.
Il responsabile cittadino dell’Italia dei Diritti : “? necessario un programma ad hoc e non ricorrere alle sanzioni amministrative nei confronti dei cittadini, che finiscono per diventare soltanto strumentali”
Genova – “Questo è un capitolo imbarazzante per il comune di Genova, perché la percentuale di raccolta differenziata nel capoluogo e nella regione Liguria è una delle più basse di tutto il paese, sebbene esistano delle punte di eccellenza in alcuni piccoli centri. Genova in particolare, su questo aspetto, è veramente indietro perché a mancare è una politica ambientale. Non c’è una strategia e questi provvedimenti, che vanno a colpire i cittadini, non possono che essere considerati come qualcosa di meramente strumentale”.
Interviene con queste parole Edoardo Buganza, responsabile per Genova dell’Italia dei Diritti, sull’impennata di multe a carico dei cittadini genovesi sorpresi a non attuare la raccolta differenziata. Implacabili gli ispettori dell’Amiu, pronti, accanto ai cassonetti, a sanzionare quanti non rispettano le regole. In pochi giorni sono fioccati oltre 200 verbali, più del 20% del totale delle sanzioni emesse nel 2011.
“Genova ora – prosegue l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro - risulta candidata per il bando, indetto dall’Unione Europa, attraverso il quale verranno premiate le città che si distinguono per le buone pratiche riguardo alla tutela ambientale e alla raccolta differenziata. Forse, così facendo, spera di riuscire a dare una sterzata, potendosi poi proporre con numeri migliori. Certamente però non sono le sanzioni amministrative il metodo ottimale per ottenere un cambiamento rapido. I cittadini sovente – prosegue Buganza - , anche ben disposti a fare raccolta differenziata, non sono correttamente informati sulle modalità; in secondo luogo non ci sono gli strumenti adatti, ossia i cassonetti adeguati. Di questi, infatti, ve ne sono veramente pochi e, soprattutto in una città come Genova che ha il centro storico più grande d’Europa, sono difficili da posizionare e faticosamente raggiungibili da tutti i residenti delle zone centrali”.
Non differenziare costa davvero caro, il verbale per i genovesi scoperti a non separare il pattume è di 50 euro, mentre ammonta a 500.000 la cifra che il comune della Lanterna dovrà versare alla regione Liguria per aver diversificato soltanto il 29,5 % dei rifiuti. Troppo poco, rispetto alla percentuale del 45% prevista dalla legge.
“Per raggiungere un obiettivo positivo – asserisce Buganza - , delle buone percentuali, quello che manca è proprio una strategia ambientale perché, soprattutto su questo territorio, è necessario un programma ad hoc e non ricorrere alle sanzioni amministrative nei confronti dei cittadini, che finiscono per diventare soltanto strumentali. Posso prevedere che molte multe andranno a cadere dopo che qualche cittadino farà la sua brava contestazione e il giudice di pace o chi per lui l’accoglierà”.
La responsabile per le Attività Produttive e l’Industria dell’Italia dei Diritti: “La Regione si deve attivare immediatamente affinché i budget non aumentino a dismisura e perché queste strutture possano aprire le porte al pubblico quanto prima”
Roma - La Nuova Bagnoli è in dirittura d’arrivo, eppure non si riesce ad ultimarla. Tre mega opere completate e ferme, poiché la Regione campana non versa i soldi necessari al collaudo. Le imprese hanno chiuso i cantieri e, in attesa dei pagamenti, licenziano i propri dipendenti o chiedono la cassa integrazione, mentre le banche si dicono non più disposte a fare credito. Questa è la situazione in cui versa l’ex Italsider e il progetto della Bagnoli Futura. Antonella Silipigni, responsabile per le Attività Produttive e l’Industria dell’Italia dei Diritti, analizza la faccenda bagnolese, lasciando intendere che la questione, più che territoriale, è di carattere nazionale: “Quando ci sono in ballo opere così grandi si presuppone che, alla base, vi sia una strategia ben delineata che punti a valorizzare il territorio. Se, in questo caso, non vi è stata tale pianificazione, è chiaro che il problema esiste ed è enorme. Purtroppo le alternative sono due: in Italia o non siamo bravi pianificatori o siamo degli ottimi spendaccioni, se si considera che riusciamo, quasi sempre, a sperperare fondi, a non rispettare le date dei lavori e a perdere l’efficacia di quanto è stato già realizzato”.
L’esponente del movimento guidato da Antonello De Pierro continua la sua riflessione, concentrandosi sulla classe dirigente dell’apparato amministrativo campano: “In un territorio come quello attualmente governato da Caldoro, con delle evidenti difficoltà di governance che vanno avanti da anni, la Regione deve intervenire immediatamente per permettere un nuovo inizio generale e, nel caso di Bagnoli, si deve attivare affinché i budget non aumentino a dismisura e perché queste strutture possano aprire le porte al pubblico quanto prima”.
In conclusione, la Silipigni torna sul suo iniziale discorso che coinvolge l’intero sistema Italia: “È inutile realizzare ‘cattedrali nel deserto’ di questo tipo. Non possiamo dirci fieri di strutture così imponenti, ma che non funzionano. Aspettiamo con ansia un’azione risolutiva da parte della Regione, affinché venga rimessa in moto la macchina della Nuova Bagnoli che porterà lavoro e la conseguente ripresa del tessuto territoriale. A seguito delle decisioni di Caldoro, verificheremo se esiste questa capacità di governance o se ci troviamo di fronte all’ennesimo sperperamento di soldi pubblici”.
Il Responsabile cittadino dell’Italia dei Diritti:“E' importante che si continui a percorrere la strada della legalità e di una dura opposizione contro la mafia”.
Rimini, – "La notizia del sequestro di beni appartenenti a un affiliato al clan della famiglia Muto non può che confermarci un sospetto che si ha da molto tempo, ovvero che l'ndrangheta, come la camorra, ‘cosa nostra’ e le mafie internazionali, operano e sono presenti anche nella nostra amata riviera romagnola”.
Con queste parole Gianluca Daluiso, Responsabile per Rimini dell’Italia dei Diritti, esprime tutta la sua più che motivata preoccupazione per il dilagare della mafia in Italia, in riferimento agli ultimi fatti inerenti alcuni decreti di sequestro di terreni, fabbricati e attività commerciali, per un totale di due milioni di euro, ai danni di Agostino Briguori, esponente del clan Muto.
“La presenza mafiosa nel nostro territorio ormai è un dato di fatto - prosegue Daluiso -, e a mio parere, non si può più parlare di infiltrazioni, ma di veri e propri radicamenti sul nostro territorio. Per fortuna, proprio ieri, c'è stato un forte segnale dal potere politico con l'approvazione della nuova legge regionale contro la criminalità organizzata e la nascita dell'osservatorio regionale sul fenomeno mafioso. E' importante che si continui a percorrere la strada della legalità e di una dura opposizione contro la mafia”.
Chiamando in causa i doveri di noi cittadini italiani nei confronti della patria, l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro conclude sottolineando “la necessità che tutti facciano la propria parte: la politica, la magistratura e la società civile devono unirsi per debellare questo terribile cancro che affligge la nostra nazione. Ognuno di noi ha il dovere morale di rifiutare anche i benefici che si posso trarre dalla collaborazione con le organizzazioni mafiose, ad esempio i posti di lavoro e le raccomandazioni varie. Le mafie si infiltrano sempre di più nel nostro tessuto economico e tutti noi, nel nostro piccolo, dobbiamo fare il possibile affinché ciò non avvenga. Come diceva Don Pino Puglisi «E se ognuno di noi fa qualche cosa, allora si può fare molto»".
Il responsabile per la provincia di Pavia dell’Italia dei Diritti: “Si è voluto creare solo un business artificiale intorno ai ticket a favore delle aziende”
Milano – A Pavia i commercianti hanno deciso di non accettare più i buoni pasto per i pagamenti, in quanto esasperati dai lunghissimi tempi d’attesa per incassarli e dalle commissioni sempre più alte. Infatti, per poter ammortizzare i costi è necessario accumulare almeno 1500 euro in buoni e poi l’attesa di almeno tre mesi per poterli incassare.
In questo modo ristoratori e baristi rischiano la crisi delle loro attività a causa della lentezza burocratica e di un sistema che tutela solo chi emette i ticket.
Andrea Guazzi, responsabile per la provincia di Pavia dell’Italia dei Diritti, ha così commentato la situazione: “Secondo la mia opinione si è voluto creare un business artificiale intorno ai ticket.
I datori di lavoro avrebbero potuto pagare i pasti all’interno dell’orario lavorativo ai propri dipendenti, ma si son inventati il sistema dei ticket per evitare che i lavoratori incassassero quei soldi senza poi effettivamente spenderli. Con i buoni pasto di fatto, sono costretti ad utilizzarli e l’unico risultato è questo business artificiale di produzione giuridica.
In alternativa, il comune di Pavia – prosegue l’esponente del movimento dell’Italia dei Diritti presieduto da Antonello De Pierro – potrebbe creare dei ticket senza commissioni o trattenute e con formule convenienti in accordo con i gestori. In questo modo si bypasserebbero le aziende che s’ingrassano con i ticket non incassati e con commissioni strozzinanti.
I commercianti hanno ragione a non voler più accettare i buoni pasto perché i tempi di rimborso sono lunghi e i pagamenti tardivi, in più pagano alte commissioni. Nemmeno ai lavoratori conviene più, solo alle aziende.
Si potrebbe pensare - conclude Guazzi - a strumenti sostitutivi come, per esempio, a tessere aziendali elettroniche dove accreditare i ticket, basta solo avere la volontà di farlo”.