La responsabile per la Toscana dell’Italia dei Diritti: “Contro la comunità cinese cresce sempre più il pregiudizio e la diffidenza, ma in realtà è la globalizzazione la principale responsabile dei cambiamenti del tessuto commerciale della città”
Firenze – Il centro storico di Firenze sta subendo una mutazione commerciale profonda in conseguenza del passaggio di proprietà da italiani a cinesi che negli ultimi tempi ha riguardato molti negozi della città. A denunciarlo sono gli stessi commercianti dell’area che testimoniano sconfortati come il cuore del capoluogo toscano stia lentamente passando di mano da una comunità ad un'altra. “Sono circa 8.600 le aziende cinesi presenti in Toscana – ha detto Emanuela Ferrari, responsabile regionale dell’Italia dei Diritti – di cui il 90% dislocato nell’area tra Prato e Firenze, due province che insieme con circa 6.800 imprenditori censiscono una presenza addirittura superiore alle province di Milano (4950 imprenditori cinesi) e Roma (3.458 cinesi). Registro che intorno alla comunità cinese cresce sempre più un atteggiamento di diffidenza e di pregiudizio, si pensa che vengano in Italia per rubarci il business, ma credo che questo modo di ragionare sia sbagliato. C’è da dire che le iniziative cinesi in Toscana sono caratterizzate da un forte dinamismo economico in particolare nei settori del tessile e dell’abbigliamento, della pelletteria, della ristorazione e del commercio al dettaglio, tuttavia, non si può sottacere, per completezza di ragionamento, che gli uffici competenti dovrebbero intensificare i controlli al fine di verificare l’ottemperanza alle normative vigenti e tutelare i consumatori e la libera concorrenza”.
Il grido d’allarme dei commercianti fiorentini è unanime. I titolari delle botteghe storiche sono preoccupati perché temono che la città possa perdere la sua identità fatta di piccoli artigiani e di negozi a conduzione familiare, fornai, pellicciai, alimentari, perfino i banchi del mercato: tutti sono a rischio di essere fagocitati e di passare in mano ai cinesi. “Credo – ha proseguito la responsabile del movimento guidato da Antonello De Pierro – che sia stata la globalizzazione la principale responsabile dell’omologazione dei gusti e delle tendenze, e che i primi esercizi a soppiantare le botteghe storiche del centro, per la gioia e il tripudio delle fashion victims, siano stati i franchising delle grandi firme. I cinesi, invece, si inseriscono nelle aree frequentate da un altro target di clientela: una interna alla comunità e una esterna, che basa esclusivamente i suoi acquisti sul costo. Io penso che il cittadino-consumatore anche in questo momento di grande difficoltà economica si dovrebbe riappropriare del proprio potere di mercato. Dovrebbe chiedere a gran voce trasparenza e informazione sulle etichette dei prodotti che acquista. Dovrebbe, poi, diventare consumatore critico e consapevole, riconoscendo come componenti essenziali della qualità di un prodotto alcune caratteristiche delle sue modalità di produzione come la tipicità, la tradizione, la sostenibilità ambientale della filiera del processo produttivo, l'eticità del trattamento accordato ai lavoratori ecc. ecc. Le persone che consumano sono le sole che possono invertire questo processo involutivo e per farlo dovranno mettere al centro delle loro scelte d’acquisto il rapporto qualità-prezzo, e non più soltanto il costo dei prodotti”.