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A Palermo chiuso reparto per mancanza chirurghi, l’analisi di Caporale

Il responsabile per la Sanità dell’Italia dei Diritti: “Fondamentale fare sempre una pianta organica allo scopo di coprire  tutti i turni di lavoro, i cittadini hanno fatto un patto sociale, la sanità deve essere loro garantita”


Roma –  Emergenza medici in sala operatoria all’ospedale Ingrassia di Palermo.
La mancanza di personale,  4 sanitari di cui uno non idoneo per 16 posti letto, ha reso necessario alla direzione dell’Asp sospendere le attività di chirurgia generale.

 

Un fatto preoccupante che genera in Manlio Caporale, responsabile per la Sanità dell’Italia dei Diritti, una profonda riflessione circa la condizione ospedaliera dell’intero paese, sulle cause e gli effetti di tali accadimenti : “Più o meno il 70-80% del bilancio di una regione è stanziato per la sanità, non si capisce quindi perché una struttura medica, strapagata, sia fatiscente. È fuori da ogni logica che gli ospedali, per i quali sono state profuse spese altissime siano spesso in rovina. Dati gli investimenti una struttura ospedaliera dovrebbe necessariamente essere efficiente, ben attrezzata, inquadrata in un piano di programmazione. Un altro aspetto da valutare è la gestione del personale. Innanzitutto è fondamentale fare sempre una pianta organica allo scopo di coprire  tutti i turni di lavoro, i cittadini hanno fatto un patto sociale, la sanità deve essere loro garantita, devono poter fruire di  un ospedale decoroso, con al proprio interno persone che ci lavorano in modo regolare”.

 

Motivazioni economiche, malcostume diffuso sono alla base, per Caporale, dell’attuale, malandata, amministrazione assistenziale italiana : “Sovente , ed è un esempio negativo – asserisce l’esponente del movimento presieduto da Antonello De Pierro -, vengono assunte centinaia di medici per motivi clientelari, in piccoli nosocomi che non hanno nemmeno senso d’essere aperti, il tutto  in una situazione generale dove l’edilizia ospedaliera è in rovina. Il discorso di preparazione medica, quando si parla di malasanità, è spesso messo al centro dell'attenzione mediatica ma bisogna vedere, in quelle circostanze,  com’è amministrato l'intero ospedale. Non è solo questione di competenza perché se c’è difetto, se una struttura agisce con numero inferiore di sanitari, non è colpa di chi ci opera ma di chi pone in condizione di lavorare in quella maniera. Si vuole sempre guardare alla colpevolezza del singolo, il quale però, va sottolineato, non ha di certo amministrato i milioni di euro stanziati per la sanità coordinati dai politici La responsabilità di una cattiva gestione, è quindi da far ricadere sulla classe governativa. Ritengo opportuno – prosegue Caporale - che un direttore sanitario in carenza di personale, in una struttura fatiscente, costruita con i nostri soldi, debba assicurare comunque l’emergenza. Stiamo creando però purtroppo delle strutture in cui si finisce a garantire esclusivamente il pronto intervento e non la routine, che invece deve essere programmata.  Bisognerebbe certamente chiudere gli ospedali che non servono ma nello stesso tempo fornire, per aree territoriali una risposta certa alla salute, ossia una polo medico, affrontando una programmazione territoriale adeguata e la pianificazione, si sa, è compito della politica. Un primario se richiede personale e non ne riceve o se è in deficit non ne è responsabile. Ci sono parametri europei che sono semplicissimi da assolvere per una corretta distribuzione sul territorio, basterebbe lavorarci e riorganizzare la sanità. Siccome però quest’ultima vale l'80 % dell'economia di una regione  ha un forte appeal economico, continua ad essere  un bacino elettorale  nel quale prolifica la politica clientelare. Non ci sono attualmente strumenti che consentano di fare un contrappeso nell’attività lavorativa, meccanismi utili a favorire meritocrazia ed efficienza, un bravo medico non può essere gratificato, manca un sistema premiante effettivo per chi ha valore e opera bene, purtroppo alla fine chi fa il furbo guadagna quanto chi lavora seriamente. Si preferisce infatti favorire una politica clientelare, visti gli interessi economici in ballo”.

 

Nelle conclusive dichiarazioni Manlio Caporale torna alla vicenda palermitana: “È più serio in questi casi, non fornire il servizio, i politici spesso non vogliono un’interruzione delle funzioni fornite perché un ospedale chiuso genera risentimento nella popolazione di potenziali elettori, allora  pur di non palesare la carenza delle strutture, si porta all’agonia delle stesse. Chiudere – chiosa Caporale - è il coraggio di ammettere che non si può erogare il servizio, generando anche un polverone come è successo in questa storia”.

 

 

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